Prosegue da:
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
2013 – Il centro del mondo
Due biciclette legate lungo la riva del lago si godono un meritato riposo; le catene, unte di grasso giusto questa mattina, sono ormai ricoperte di polvere e terra.
Non lontani, invece, i due ciclisti si rincorrono ancora, nessuno dei due vuole essere il primo a mollare.
Marc non è ancora stanco, ma vede chiaramente che a tener su Lenore è rimasto soltanto l’orgoglio: quella ragazzina presuntuosa si farebbe venire un infarto piuttosto che dargliela vinta.
Dopo l’ennesimo ruzzolone nell’erba finge di non farcela più e, afferrata Lenore per un braccio, se la tira dietro. Non ha alcuna intenzione di finire la serata all’ospedale per colpa della sua testa dura.
E poi sono ore che ha una voglia matta di starle vicino.
A pancia all’aria guardano le nuvole continuare il loro gioco — Le vedi Marc? Loro mica si fermano mai. Anche quando si raggiungono, sono sempre pronte a separarsi per ricominciare da capo.
Lo dice con così tanta ingenuità e leggerezza che Marc non riesce a capire se sta parlando della loro relazione o soltanto delle nuvole, decide di restare neutrale — D’altronde è piuttosto semplice quando sei una nuvola no?
Lenore sta esplorando con le dita una ad una le rughe delle mani di Marc, si sofferma a lungo sulla sua cicatrice, ma passa oltre senza fare domande.
Lui è un po’ che la fissa senza farsi notare — Polvere e sudore sono ingredienti fondamentali della bellezza.
Gli scappa dalla bocca senza volerlo, non è bravo a tenersi in testa quel che pensa.
Lenore si gira e lo scruta, incuriosita dal suo strano modo di rompere un lungo silenzio.
Dopo avergli attentamente letto negli occhi gli lancia un sorriso di quelli che solo i bambini riescono a fare.
Marc accusa il colpo, qualcosa dentro di lui va in frantumi — E tu sei un ingrediente fondamentale per la mia felicità.
Quel cretino l’ha fatto di nuovo, deve aver perso totalmente il controllo: il gioco per lui è finito, non ci sono più strategie.
Lenore capisce che non ha più nulla da temere e accorcia, rotolando nell’erba, la poca distanza che ancora li separava.
Gli si stringe addosso — Non mi va più di giocare a fare la nuvola.
Continua nel Capitolo Cinque